sabato 31 ottobre 2015

Un testo luminoso per vivere con fede questi giorni santi

Una speranza che non delude



A quest’ora, prima del tramonto, in questo cimitero ci raccogliamo e pensiamo al nostro futuro, pensiamo a tutti quelli che se ne sono andati, che ci hanno preceduto nella vita e sono nel Signore.

E’ tanto bella quella visione del Cielo che abbiamo sentito nella prima Lettura: il Signore Dio, la bellezza, la bontà, la verità, la tenerezza, l’amore pieno. Ci aspetta tutto questo. Quelli che ci hanno preceduto e sono morti nel Signore sono là. Essi proclamano che sono stati salvati non per le loro opere – hanno fatto anche opere buone – ma sono stati salvati dal Signore: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello» (Ap 7, 10). È Lui che ci salva, è Lui che alla fine della nostra vita ci porta per mano come un papà, proprio in quel Cielo dove sono i nostri antenati. Uno degli anziani fa una domanda: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?» (v.13). Chi sono questi giusti, questi santi che sono in Cielo? La risposta: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (v.14).

Possiamo entrare nel Cielo soltanto grazie al sangue dell’Agnello, grazie al sangue di Cristo. È proprio il sangue di Cristo che ci ha giustificati, che ci ha aperto le porte del Cielo. E se oggi ricordiamo questi nostri fratelli e sorelle che ci hanno preceduto nella vita e sono in Cielo, è perché essi sono stati lavati dal sangue di Cristo. Questa è la nostra speranza: la speranza del sangue di Cristo! Una speranza che non delude. Se camminiamo nella vita con il Signore, Lui non delude mai!
Abbiamo sentito nella seconda Lettura quello che l’Apostolo Giovanni diceva ai suoi discepoli: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce. … Siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è» (1 Gv 3,1-2). Vedere Dio, essere simili a Dio: questa è la nostra speranza. E oggi, proprio nel giorno dei Santi e prima del giorno dei Morti, è necessario pensare un po’ alla speranza: questa speranza che ci accompagna nella vita. I primi cristiani dipingevano la speranza con un’ancora, come se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo e tutti noi incamminati verso quella riva, aggrappati alla corda dell’ancora. Questa è  una bella immagine della speranza: avere il cuore ancorato là dove sono i nostri antenati, dove sono i Santi, dove è Gesù, dove è Dio. Questa è la speranza che non delude; oggi e domani sono giorni di speranza.

La speranza è un po’ come il lievito, che ti fa allargare l’anima; ci sono momenti difficili nella vita, ma con la speranza l’anima va avanti e guarda a ciò che ci aspetta. Oggi è un giorno di speranza. I nostri fratelli e sorelle sono alla presenza di Dio e anche noi saremo lì, per pura grazia del Signore, se cammineremo sulla strada di Gesù. Conclude l’Apostolo Giovanni: «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso» (v.3). Anche la speranza ci purifica, ci alleggerisce; questa purificazione nella speranza in Gesù Cristo ci fa andare in fretta, prontamente. 

In questo pre-tramonto d’oggi, ognuno di noi può pensare al tramonto della sua vita: “Come sarà il mio tramonto?”. Tutti noi avremo un tramonto, tutti! Lo guardo con speranza? Lo guardo con quella gioia di essere accolto dal Signore? Questo è un pensiero cristiano, che ci da pace. Oggi è un giorno di gioia, ma di una gioia serena, tranquilla, della gioia della pace. Pensiamo al tramonto di tanti fratelli e sorelle che ci hanno preceduto, pensiamo al nostro tramonto, quando verrà. E pensiamo al nostro cuore e domandiamoci: “Dove è ancorato il mio cuore?”. Se non fosse ancorato bene, ancoriamolo là, in quella riva, sapendo che la speranza non delude perché il Signore Gesù non delude.

(papa Francesco, omelia del 1 novembre 2013)

giovedì 29 ottobre 2015

L'impotenza dell'amore di Dio

«Ogni uomo, ogni donna può rifiutare il dono», preferire vanità, orgoglio, egoismo, il proprio peccato, ma quel dono non si annulla, perché «è l’amore di Dio, un Dio che non può staccarsi da noi. Quella è l’impotenza di Dio. Noi diciamo: “Dio è potente, può fare tutto!”. Meno una cosa: staccarsi da noi! Nel Vangelo quell’immagine di Gesù che piange sopra Gerusalemme, ci fa capire qualcosa di questo amore. Gesù ha pianto! Pianse su Gerusalemme e in quel pianto è tutta la impotenza di Dio: la sua incapacità di non amare, di non staccarsi da noi».

(dell'omelia odierna di Papa Francesco alla S. Messa a Santa Marta)



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mercoledì 28 ottobre 2015

PERCORSO DI PREPARAZIONE AL MATRIMONIO

Venerdì 30 ottobre alle ore 20.00 comincia in parrocchia il percorso di preparazione al sacramento del Matrimonio.

Queste le date degli incontri:
(gli incontri saranno alle 20.00)
  • venerdì 30 ottobre
  • sabato 14 novembre
  • sabato 28 novembre
  • sabato 5 dicembre
  • sabato 19 dicembre
  • sabato 9 gennaio 2016
  • sabato 23 gennaio
  • sabato 30 gennaio
  • domenica 14 febbraio: celebrazione eucaristica con i fidanzati (ore 19.00)
  • sabato 27 febbraio
  • sabato 12 marzo
  • domenica 3 aprile (ritiro spirituale, tutta la giornata)



sabato 24 ottobre 2015

Papa Francesco chiude i lavori del Sinodo

LA CHIESA E' "CHIESA DEI POVERI IN SPIRITO E DEI PECCATORI IN CERCA DI PERDONO"



Mentre seguivo i lavori del Sinodo, mi sono chiesto: che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?

Certamente non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma aver cercato di illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della storia bimillenaria della Chiesa, infondendo in essi la gioia della speranza senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è indiscutibile o già detto.


Sicuramente non significa aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la famiglia, ma aver messo tali difficoltà e dubbi sotto la luce della Fede, averli esaminati attentamente, averli affrontati senza paura e senza nascondere la testa sotto la sabbia.

Significa aver sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana.

Significa aver ascoltato e fatto ascoltare le voci delle famiglie e dei pastori della Chiesa che sono venuti a Roma portando sulle loro spalle i pesi e le speranze, le ricchezze e le sfide delle famiglie di ogni parte del mondo.

Significa aver dato prova della vivacità della Chiesa Cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia.

Significa aver cercato di guardare e di leggere la realtà, anzi le realtà, di oggi con gli occhi di Dio, per accendere e illuminare con la fiamma della fede i cuori degli uomini, in un momento storico di scoraggiamento e di crisi sociale, economica, morale e di prevalente negatività.

Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole “indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri.

Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite.

Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori.

Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile.

Nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa “moduli preconfezionati”, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi.
[...]
Abbiamo visto, anche attraverso la ricchezza della nostra diversità, che la sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa: annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli attacchi ideologici e individualistici.

E, senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri, abbiamo cercato di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che «TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVATI» (1 Tm 2,4), per inserire e per vivere questo Sinodo nel contesto dell’Anno Straordinario della Misericordia che la Chiesa è chiamata a vivere.

L’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia (cfr Rm 3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54). Significa superare le costanti tentazioni del fratello maggiore (cfr Lc 15,25-32) e degli operai gelosi (cfr Mt 20,1-16). Anzi significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa (cfr Mc 2,27).

In questo senso il doveroso pentimento, le opere e gli sforzi umani assumono un significato più profondo, non come prezzo dell’inacquistabile Salvezza, compiuta da Cristo gratuitamente sulla Croce, ma come risposta a Colui che ci ha amato per primo e ci ha salvato a prezzo del suo sangue innocente, mentre eravamo ancora peccatori (cfr Rm 5,6).

Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore (cfr Gv 12,44-50).

XXX Domenica Tempo Ordinario - Anno B

"Pietà dei miei occhi spenti!"

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Un ritratto tracciato con tre drammatiche pennellate: cieco, mendicante, solo. Un mendicante cieco: l'ultimo della fila, un naufrago della vita, un relitto inchiodato nel buio sul ciglio di una strada di Gerico. Poi improvvisamente tutto si mette in moto: passa Gesù e si riaccende il motore della vita, soffia un vento di futuro. Con il Signore c'è sempre un "dopo".

E Bartimèo comincia a gridare: Gesù, abbi pietà. Non c'è grido più evangelico, non preghiera più umana e bruciante: pietà dei miei occhi spenti, di questa vita perduta. Sentiti padre, sentiti madre, ridammi vita.

Ma la folla fa muro al suo grido: taci! Il grido di dolore è fuori luogo. Terribile pensare che davanti a Dio la sofferenza sia fuori luogo, che il dolore sia fuori programma.

Eppure per tanti di noi è così, da sempre, perché i poveri disturbano, ci mostrano la faccia oscura e dura della vita, quel luogo dove non vorremmo mai essere e dove temiamo di cadere.

Invece il cieco sente che un altro mondo è possibile, e che Gesù ne possiede la chiave. Infatti il rabbi ascolta e risponde, ascolta e rilancia. 

E si libera tutta l'energia della vita. Notiamo come ogni gesto da qui in avanti sembra eccessivo, esagerato: Bartimèo non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza da terra, ma balza in piedi. 

La fede è questo: un eccesso, un'eccedenza, un di più illogico e bello. Qualcosa che moltiplica la vita: «Sono venuto perché abbiate il centuplo in questa vita». Credere fa bene. Cristo guarisce tutta l'esistenza.

Anzi il cieco comincia a guarire prima di tutto nella compassione di Gesù, nella voce che lo accarezza. Guarisce come uomo, prima che come cieco. Perché qualcuno si è accorto di lui. Qualcuno lo tocca, anche solo con la voce. Ed egli esce dal suo naufragio umano: l'ultimo comincia a riscoprirsi uno come gli altri, inizia a vivere perché chiamato con amore. 
La guarigione di Bartimèo prende avvio quando «balza in piedi» e lascia ogni sostegno, per precipitarsi, senza vedere, verso quella voce che lo chiama: guidato, orientato solo dalla parola di Cristo, che ancora vibra nell'aria.
Anche noi cristiani ci orientiamo nella vita come il cieco di Gerico, senza vedere, solo sull'eco della Parola di Dio, che continua a seminare occhi nuovi, occhi di luce, sulla terra.



martedì 20 ottobre 2015

Le donne: le vere "esperte" della famiglia

Le donne sono le grandi esperte di famiglia: se usciamo dalle teorie astratte, specialmente a loro ci si può rivolgere per capire cosa bisogna fare, come si possono porre le fondamenta per una nuova famiglia aperta al rispetto di tutti i suoi membri, non più fondata sullo sfruttamento della capacità di sacrificio della donna, ma che assicuri a tutti un alimento affettivo, solidale. Invece, sia nel testo che nei contributi, di donne, di noi, si parla pochissimo. Come se le madri, le figlie, le nonne, le mogli, cioè il cuore delle famiglie, non facessero parte della Chiesa, di quella Chiesa che comprende il mondo, che pensa, che decide. Come se si potesse continuare, perfino a proposito della famiglia, a far finta che le donne non esistono. Come se si potesse continuare a dimenticare lo sguardo nuovo, il rapporto inedito e rivoluzionario che Gesù ha avuto nei confronti delle donne.
Molto diverse sono le famiglie nel mondo, ma in tutte sono le donne a svolgere il ruolo più importante e decisivo per garantirne solidità e durata. E quando si parla di famiglie non si dovrebbe parlare sempre e solo di Matrimonio: sta crescendo il numero di famiglie composte da una madre sola e dai suoi figli. Sono le donne, infatti, a rimanere sempre accanto ai figli, anche se malati, se disabili, se frutto di violenza. Queste donne, queste madri quasi mai hanno seguito corsi di teologia, spesso non sono neppure sposate, ma danno un esempio mirabile di comportamento cristiano. Se voi Padri sinodali non rivolgete loro attenzione, se non le ascoltate, rischiate di farle sentire ancora più disgraziate perché la loro famiglia è così diversa da quella di cui parlate. Voi, infatti, troppo presto parlate di una famiglia astratta, una famiglia perfetta che però non esiste, una famiglia che non ha niente a che vedere con le famiglie vere che Gesù incontra o di cui parla. Una famiglia così perfetta che sembra quasi non aver bisogno della sua misericordia né della sua parola: “Non sono venuto per i sani ma per i malati, non per i giusti ma per i peccatori.
(Dall'intervento della prof.ssa Lucetta Scaraffia al Sinodo per la famiglia)

sabato 17 ottobre 2015

XXIX Domenica Tempo Ordinario - Anno B
Servitori di ogni frammento di vita
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo (...). «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete (...). Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti (...)». 
(Letture: Isaia 53,10-11; Salmo 32; Ebrei 4,14-16; Marco 10,35-45).

Giovanni, non un apostolo qualunque ma il preferito, il più vicino, il più intuitivo, chiede per sé e per suo fratello i primi posti. E l'intero gruppo dei dieci immediatamente si ribella, unanime nella gelosia.
È come se finora Gesù avesse parlato a vuoto: «Non sapete quello che chiedete!». Non sapete quali argini abbattete con questa fame di primeggiare, non capite la forza oscura che nasce da queste ubriacature di potere, che povero cuore ne esce
Ed ecco le parole con cui Gesù spalanca la differenza cristiana: «tra voi non sia così». 
I grandi della terra dominano sugli altri... Tra voi non è così! Credono di governare con la forza... non così tra voi!
Chi vuole diventare grande tra voi. Una volontà di grandezza è innata nell'uomo: il non accontentarsi, il "morso del più", il cuore inquieto. Gesù non condanna tutto questo, non vuole nel suo regno uomini e donne incompiuti e sbiaditi, ma pienamente fioriti, regali, nobili, fieri, liberi. La santità non è una passione spenta, ma una passione convertita: chi vuole essere grande sia servitore. Si converta da "primo" a "servo". Cosa per niente facile, perché temiamo che il servizio sia nemico della felicità, che esiga un capitale di coraggio di cui siamo privi, che sia il nome difficile, troppo difficile, dell'amore. 
Eppure il termine servo è la più sorprendente di tutte le autodefinizioni di Gesù: «Non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo». Parole che ci consegnano una vertigine: servo allora è un nome di Dio; Dio è mio servitore!Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull'uomo: Dio non è il Padrone dell'universo, il Signore dei signori, il Re dei re: è il Servo di tutti! Non tiene il mondo ai suoi piedi, è inginocchiato lui ai piedi delle sue creature; non ha troni, ma cinge un asciugamano. Come sarebbe l'umanità se ognuno avesse verso l'altro la premura umile e fattiva di Dio? Se ognuno si inchinasse non davanti al potente ma all'ultimo? 
Noi non abbiamo ancora pensato abbastanza a cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo non lo farà mai; non spezza la canna incrinata ma la fascia come fosse un cuore ferito. Non finisce di spegnere lo stoppino dalla fiamma smorta, ma lo lavora finché ne sgorghi di nuovo il fuoco. Dio non pretende che siamo già luminosi, opera in noi e con noi perché lo diventiamo.
Se Dio è nostro servitore, chi sarà nostro padrone? Il cristiano non ha nessun padrone, eppure è il servitore di ogni frammento di vita. E questo non come riserva di viltà, ma come prodigio di coraggio, quello di Dio in noi, di Dio tutto in tutti. 

venerdì 16 ottobre 2015

16 ottobre 1978: Elezione di Giovanni Paolo II




Sia lodato Gesù Cristo. 


Carissimi fratelli e sorelle, 
siamo ancora tutti addolorati dopo la morte del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo I. Ed ecco che gli Eminentissimi Cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un paese lontano... lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana. Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l’ho fatto nello spirito dell’ubbidienza verso Nostro Signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso la sua Madre, la Madonna Santissima. 

Non so se posso bene spiegarmi nella vostra... nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete. E così mi presento a voi tutti, per confessare la nostra fede comune, la nostra speranza, la nostra fiducia nella Madre di Cristo e della Chiesa, e anche per incominciare di nuovo su questa strada della storia e della Chiesa, con l’aiuto di Dio e con l’aiuto degli uomini. 







mercoledì 14 ottobre 2015

Compie 100 anni il Cardinale Loris Capovilla, segretario di San Giovanni XXIII

La nostra storia è storia di bellezza


Aveva formulato il desiderio di festeggiare insieme ai profughi. Ed è stato accontentato. Loris Capovilla è lo storico segretario di san Giovanni XXIII, che visse al suo fianco fin dai tempi in cui il futuro pontefice era patriarca di Venezia e che dopo la morte di Roncalli fu nominato vescovo a Chieti e poi a Loreto. Nel 2014 papa Francesco lo ha creato cardinale e attualmente è il più anziano porporato del mondo. Ma nel giorno del suo centesimo compleanno guarda ancora al futuro: "Come posso essere pessimista io, dopo aver incontrato uomini come papa Giovanni, Paolo VI, gli altri papi, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, Alcide De Gasperi, Aldo Moro. No, non siamo allo sbando. La nostra storia è storia di bellezza, di verità, di giustizia e di amore. Noi intendiamo ancora calcare queste orme. E andare ben oltre". Il giorno della sua festa, Capovilla lo ha voluto trascorrere nel silenzio e nella preghiera a Sotto il Monte, paese d'origine di Angelo Roncalli. E lì ha incontrato Issa, giovane migrante del Mali accolto nella Comunità Villa San Francesco di Facen di Belluno fondata proprio da Roncalli, Capovilla ha detto: "Sono contento di essere vissuto in questo mondo", confessa al giovane africano, "Io ormai ho finito la mia corsa e tu la cominci", dice. "Dai il tuo contributo per la civiltà dell'amore perché non ce ne è un'altra, non c'è la civiltà della tecnica, della potenza o delle armi. A me sono tanto cari i miei fratelli cristiani, lo so, ma nella stessa misura mi sono cari tutti gli uomini e donne di questo mondo".

All'Udienza generale Papa Francesco ha parlato dei bambini

"Ai bambini promettiamo amore"

"Noi li facciamo venire al mondo e questa è una promessa, cosa promettiamo loro?"


La parola di Gesù è forte oggi: “Guai al mondo per gli scandali”. Gesù è realista e dice: “E’ inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo a causa del quale avviene lo scandalo”. Io vorrei, prima di iniziare la catechesi, a nome della Chiesa, chiedervi perdono per gli scandali che in questi ultimi tempi sono accaduti sia a Roma che in Vaticano, vi chiedo perdono.

Oggi rifletteremo su un argomento molto importante: le promesse che facciamo ai bambini. Non parlo tanto delle promesse che facciamo qua e là, durante la giornata, per farli contenti o per farli stare buoni (magari con qualche innocente trucchetto: ti do una caramella e promesse simili…), per invogliarli ad impegnarsi nella scuola o per dissuaderli da qualche capriccio. Parlo di altre promesse, delle promesse più importanti, decisive per le loro attese nei confronti della vita, per la loro fiducia nei confronti degli esseri umani, per la loro capacità di concepire il nome di Dio come una benedizione. Sono promesse che noi facciamo loro.

Noi adulti siamo pronti a parlare dei bambini come di una promessa della vita. Tutti diciamo: i bambini sono una promessa della vita. E siamo anche facili a commuoverci, dicendo ai giovani che sono il nostro futuro, è vero. Ma mi domando, a volte, se siamo altrettanto seri con il loro futuro, con il futuro dei bambini e con il futuro dei giovani! Una domanda che dovremmo farci più spesso è questa: quanto siamo leali con le promesse che facciamo ai bambini, facendoli venire nel nostro mondo? Noi li facciamo venire al mondo e questa è una promessa, cosa promettiamo loro?

Accoglienza e cura, vicinanza e attenzione, fiducia e speranza, sono altrettante promesse di base, che si possono riassumere in una sola: amore. Noi promettiamo amore, cioè amore che si esprime nell’accoglienza, nella cura, nella vicinanza, nell’attenzione, nella fiducia e nella speranza, ma la grande promessa è l’amore. Questo è il modo più giusto di accogliere un essere umano che viene al mondo, e tutti noi lo impariamo, ancora prima di esserne coscienti. A me piace tanto quando vedo i papà e le mamme, quando passo fra voi, portarmi un bambino, una bambina piccoli e chiedo: “Quanto tempo ha?” –“Tre settimane, quattro settimane… chiedo la benedizione del Signore”. Anche questo si chiama amore. L’amore è la promessa che l’uomo e la donna fanno ad ogni figlio: fin da quando è concepito nel pensiero. I bambini vengono al mondo e si aspettano di avere conferma di questa promessa: lo aspettano in modo totale, fiducioso, indifeso. Basta guardarli: in tutte le etnie, in tutte le culture, in tutte le condizioni di vita! Quando accade il contrario, i bambini vengono feriti da uno “scandalo”da uno scandalo insopportabile, tanto più grave, in quanto non hanno i mezzi per decifrarlo. Non possono capire cosa succede. Dio veglia su questa promessa, fin dal primo istante. Ricordate cosa dice Gesù? Gli Angeli dei bambini rispecchiano lo sguardo di Dio, e Dio non perde mai di vista i bambini (cfr Mt 18,10). Guai a coloro che tradiscono la loro fiducia, guai! Il loro fiducioso abbandono alla nostra promessa, che ci impegna fin dal primo istante, ci giudica.

E vorrei aggiungere un’altra cosa, con molto rispetto per tutti, ma anche con molta franchezza. La loro spontanea fiducia in Dio non dovrebbe mai essere ferita, soprattutto quando ciò avviene a motivo di una certa presunzione (più o meno inconscia) di sostituirci a Lui. Il tenero e misterioso rapporto di Dio con l’anima dei bambini non dovrebbe essere mai violato. E’ un rapporto reale, che Dio lo vuole e Dio lo custodisce. Il bambino è pronto fin dalla nascita per sentirsi amato da Dio, è pronto a questo. Non appena è in grado di sentire che viene amato per sé stesso, un figlio sente anche che c’è un Dio che ama i bambini.

I bambini, appena nati, incominciano a ricevere in dono, insieme col nutrimento e le cure, la conferma delle qualità spirituali dell’amore. Gli atti dell’amore passano attraverso il dono del nome personale, la condivisione del linguaggio, le intenzioni degli sguardi, le illuminazioni dei sorrisi. Imparano così che la bellezza del legame fra gli esseri umani punta alla nostra anima, cerca la nostra libertà, accetta la diversità dell’altro, lo riconosce e lo rispetta come interlocutore. Un secondo miracolo, una seconda promessa: noi – papà e mamma – ci doniamo a te, per donare te a te stesso! E questo è amore, che porta una scintilla di quello di Dio! Ma voi, papà e mamme, avete questa scintilla di Dio che date ai bambini, voi siete strumento dell’amore di Dio e questo è bello, bello, bello!

Solo se guardiamo i bambini con gli occhi di Gesù, possiamo veramente capire in che senso, difendendo la famiglia, proteggiamo l’umanità! Il punto di vista dei bambini è il punto di vista del Figlio di Dio. La Chiesa stessa, nel Battesimo, ai bambini fa grandi promesse, con cui impegna i genitori e la comunità cristiana. La santa Madre di Gesù – per mezzo della quale il Figlio di Dio è arrivato a noi, amato e generato come un bambino – renda la Chiesa capace di seguire la via della sua maternità e della sua fede. E san Giuseppe – uomo giusto, che l’ha accolto e protetto, onorando coraggiosamente la benedizione e la promessa di Dio – ci renda tutti capaci e degni di ospitare Gesù in ogni bambino che Dio manda sulla terra.

lunedì 12 ottobre 2015

NUOVO ORARIO DELLE MESSE

Da questa settimana cambia l'orario della Messa nei giorni feriali, che viene anticipata alle 18.30, e si aggiunge una nuova messa al mattino della domenica, alle ore 10. Per questo motivo la tradizionale Messa delle 11 è spostata di mezz'ora.
Questo il nuovo orario delle Messe in parrocchia:

Dal Lunedì al Venerdì: 18.30

Sabato: ore 19.00

Domenica e festiviore 10.00 - 11.30 - 19.00

Si prega di diffondere la voce.

sabato 10 ottobre 2015

La libertà che il giovane ricco non ha capito
P. Marko Rupnik, Chiesa di San Pio

XXVIII Domenica - Tempo Ordinario - Anno B

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (...) 

Un tale corre incontro al Signore. Corre, con un gesto bello, pieno di slancio e desiderio. Ha grandi domande e grandi attese. Vuole sapere se è vita o no la sua. E alla fine se ne andrà spento e deluso. Triste, perché ha un sogno ma non il coraggio di trasformarlo in realtà. Che cosa ha cambiato tutto? Le parole di Gesù: Vendi quello che hai, dallo ai poveri, e poi vieni. I veri beni, il vero tesoro non sono le cose ma le persone. Per arrivarci, il percorso passa per i comandamenti, che sono i guardiani, gli angeli custodi della vita: non uccidere, non tradire, non rubare. Ma tutto questo l'ho sempre fatto. Eppure non mi basta. Che cosa mi manca ancora? Il ricco vive la beatitudine degli insoddisfatti, cui manca sempre qualcosa, e per questo possono diventare cercatori di tesori. Allora Gesù guardandolo, lo amò. Lo ama per quell'eppure, per quella inquietudine che apre futuro e che ci fa creature di domanda e di ricerca.
Una cosa ti manca, va', vendi, dona.... Quell'uomo non ha un nome, è un tale, di cui sappiamo solo che è molto ricco. Il denaro si è mangiato il suo nome, per tutti è semplicemente il giovane ricco. Nel Vangelo altri ricchi hanno incontrato Gesù: Zaccheo, Levi, Lazzaro, Susanna, Giovanna. E hanno un nome perché il denaro non era la loro identità. Che cosa hanno fatto di diverso questi, che Gesù amava, cui si appoggiava con i dodici? Hanno smesso di cercare sicurezza nel denaro e l'hanno impiegato per accrescere la vita attorno a sé. È questo che Gesù intende: tutto ciò che hai dallo ai poveri! Più ancora che la povertà, la condivisione. Più della sobrietà, la solidarietà. Il problema è che Dio ci ha dato le cose per servircene e gli uomini per amarli. E noi abbiamo amato le cose e ci siamo serviti degli uomini...
Quello che Gesù propone non è tanto un uomo spoglio di tutto, quanto un uomo libero e pieno di relazioni. Libero, e con cento legami. Come nella risposta a Pietro: Signore, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa avremo in cambio? Avrai in cambio una vita moltiplicata. Che si riempie di volti: avrai cento fratelli e sorelle e madri e figli...
Seguire Cristo non è un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione: lasciare tutto ma per avere tutto. Il Vangelo chiede la rinuncia, ma solo di ciò che è zavorra che impedisce il volo. Messaggio attualissimo: la scoperta che il vivere semplice e sobrio spalanca possibilità inimmaginabili. Allora capiamo che Dio è gioia, libertà e pienezza, che «il Regno verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (Vannucci). Che ogni discepolo può dire: «con gli occhi nel sole/ a ogni alba io so/ che rinunciare per te/ è uguale a fiorire» (Marcolini).

venerdì 9 ottobre 2015

ORARIO DEL CATECHISMO

  • 2° elementare LUNEDI’ ore 16.30-18.00
  • 3° elementare MERCOLEDI’ ore 16.30-18.00
  • 4° elementare VENERDI’ ore 16.30-18.00
  • 3° media/1° superiore VENERDI' ore 19.00-20.00
  • ACR (5°elem-1°/2° media) SABATO ore 17.00-18.00

QUARESIMA IN FAMIGLIA/4 E' pronto il quarto  foglietto per pregare nelle famiglie durante questo tempo di grazia. Vi troverete : le ...