domenica 29 novembre 2015

A Bangui (Centrafrica) il Papa inaugura il Giubileo

Amore e pace


"Anche in mezzo a sconvolgimenti inauditi Gesù vuole mostrare la sua grande potenza, la sua gloria incomparabile (cfr Lc 21,27) e la potenza dell’amore che non arretra davanti a nulla, né davanti ai cieli sconvolti, né davanti alla terra in fiamme, né davanti al mare infuriato. Dio è più potente e più forte di tutto. Questa convinzione dà al credente serenità, coraggio e la forza di perseverare nel bene di fronte alle peggiori avversità. Anche quando le forze del male si scatenano, i cristiani devono rispondere all’appello, a testa alta, pronti a resistere in questa battaglia in cui Dio avrà l’ultima parola. E questa parola sarà d’amore e di pace!"

venerdì 27 novembre 2015

1° Domenica di Avvento - C
Non temere!!!

«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».



Potrebbe sembrare a prima vista che il Vangelo faccia da cassa di risonanza per le nostre paure. Per cui ci vien quasi la voglia di dire: «Basta, Signore! Adesso ti ci metti anche tu. Perché mai aumenti la nostra angoscia parlandoci di stelle che precipitano, di soli che si spengono, di lune che non danno più luce? Perché mai amplifichi i nostri incubi collettivi, quando dici testualmente che gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra?» (cfr. Lc 21,25-26). Gli uomini moriranno per la paura! Come se già non bastassero le nostre paure. Ma ne abbiamo già tante, per conto nostro! ...

Ora, che cosa dice il Signore di fronte a queste paure? Rimani lì steso sul pavimento? Rimani appiattito, atterrato? No! Mi dice la stessa cosa che ha detto a Maria: «Non temere». E adopera due verbi bellissimi: Alzatevi e Levàte il capo. Sono i due verbi dell’antipaura. Sono i due verbi dell’Avvento. Sono le due luci che ci devono accompagnare nel cammino che porta al Natale...

Coraggio. Alzatevi e levate il capo. Muovetevi. Fate qualcosa, il mondo cambierà. Anzi, sta già cambiando. Non li vedete i segni dei tempi? Gli alberi mettono già le prime foglie. E sul nostro cielo il rosso di sera non si è ancora scolorito. Vissuto così, l’Avvento non sarà il contenitore delle nostre paure, ma l’ostensorio delle nostre speranze. 

Mi viene da pensare che anche il cielo oggi cominci l’Avvento, il periodo dell’attesa. Qui sulla terra è l’uomo che attende il ritorno del Signore. Lassù nel cielo è il Signore che attende il ritorno dell’uomo. Ritorno che si potrà realizzare con la preghiera, con la vita di povertà, di giustizia, di limpidezza, di trasparenza, di amore, con la testimonianza evangelica e con una forte passione di solidarietà. 

(don Tonino Bello)


giovedì 26 novembre 2015

UNA NUOVA CASA PER LA PARROCCHIA


Carissimi fratelli e sorelle, 
il Natale è ormai alle porte e la Chiesa ci invita a prepararlo vivendo in pienezza il tempo sacro dell’Avvento. 
L'Avvento quest’anno porta anche delle novità nella vita della nostra giovane comunità. Dopo 4 anni la sede della parrocchia trasloca. La comunità è cresciuta e la nostra prima casa, nel comparto CA2, è ormai insufficiente ad accogliere le persone che, sempre di più, vogliono essere una "famiglia di famiglie" nel nostro quartiere. 
Da domenica 6 dicembre la sede della parrocchia sarà in Via Matteo Ricci 18, nel comparto CA9. In una sede più ampia e più facilmente raggiungibile potremmo accogliere più persone e rispondere alle esigenze dei tanti bambini, giovani e famiglie che frequentano la parrocchia. In attesa di avviare, ormai ci siamo, la costruzione del complesso parrocchiale tra viale Adriatico e viale Europa, nel CA4.

DOMENICA 6 DICEMBRE  – 2° Domenica di AVVENTO

- ore 11.00 BENEDIZIONE 
DELLA NUOVA SEDE DELLA PARROCCHIA 
S. MESSA PRESIEDUTA DALL’ARCIVESCOVO
S.E. MONS. MICHELE CASTORO

- ore 19.00 S. MESSA e NOVENA DELL'IMMACOLATA








martedì 24 novembre 2015

PREGARE IN FAMIGLIA DURANTE L'AVVENTO

L'Avvento è un tempo speciale, un tempo di attesa e di speranza. Perché sia vissuto in famiglia come momento forte di preghiera e di condivisione, la parrocchia ha preparato un piccolo strumento, un foglietto che propone: un testo di meditazione sul vangelo della domenica, un passo del vangelo e una preghiera da fare ogni giorno in famiglia (a pranzo o a cena, o comunque quando tutta la famiglia è riunita), gli avvisi e gli appuntamenti più importanti della settimana.
Il foglietto può essere ritirato in parrocchia o scaricato qui sotto.

"Per pregare in famiglia, ci vuole semplicità! … Pregare l’uno per l’altro. Questo è pregare in famiglia, e questo fa forte la famiglia: la preghiera". (Papa Francesco)


visualizza e scarica il foglietto

sabato 21 novembre 2015

Festa di Cristo Re

Un regno che libera, un re che si fa servitore

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 

Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Due re, uno di fronte all'altro. Pilato, la massima autorità civile e militare in Israele, il cui potere supremo è di infliggere la morte; Gesù che invece ha il potere, materno e creatore, di dare la vita in pienezza.

Chi dei due è più libero, chi è più uomo? Pilato, circondato dalle sue legioni, prigioniero delle sue paure, oppure Gesù, un re disarmato che la verità ha fatto libero; che non ha paura, non fa paura, libera dalla paura, che insegna a dipendere solo da ciò che ami?
Mi commuove ogni volta il coraggio di Gesù, la sua statura interiore, non lo vedi mai servile o impaurito, neppure davanti a Pilato, è se stesso fino in fondo, libero perché vero.
Dunque tu sei re? Pilato cerca di capire chi ha davanti, quel Galileo che parla e agisce in modo da non lasciare indifferente nessuno. La riposta: Sì, ma il mio regno non è di questo mondo. Forse riguarda un domani, un al di là? Ma allora perché pregare "venga il tuo regno", venga nelle case e nelle strade, venga presto? 
I regni della terra, si combattono, il potere di quaggiù ha l'anima della guerra, si nutre di violenza. Gesù invece non ha mai assoldato mercenari, non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. «Metti via la spada» ha detto a Pietro, altrimenti la ragione sarà sempre del più forte, del più violento, del più crudele, del più armato. Il suo regno è differente non perché si disinteressa della storia, ma perché entra nella storia perché la storia diventi tutt'altra da quello che è.
I servi dei re combattono per loro. Nel suo regno accade l'inverso, il re si fa servitore: non sono venuto per essere servito, ma per servire. Non spezza nessuno, spezza se stesso; non versa il sangue di nessuno, versa il suo sangue; non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso per i suoi servi. 
«Il suo regno non è di questo mondo, ed è per questo che può essere in questo mondo, e può riprenderne le minime cose senza sciuparle, può riprendere ciò che è rotto e farne un canale» (Fabrice Hadjadj).
Pilato non può capire, prende l'affermazione di Gesù: io sono re, e ne fa il titolo della condanna, l'iscrizione derisoria da inchiodare sulla croce: questo è il re dei giudei. Voleva deriderlo e invece è stato profeta: il re è visibile là, sulla croce, con le braccia aperte, dove dona tutto di sé e non prende niente. Dove muore ostinatamente amando. E Dio lo farà risorgere, perché quel corpo spezzato diventi canale per noi, e niente di quell'amore vada perduto.
Pilato poi si affaccia con Gesù al balcone della piazza, al balcone dell'universo, lo presenta all'umanità: ecco l'uomo! E intende dire: ecco il volto alto e puro dell'uomo.

giovedì 19 novembre 2015

10° anniversario della morte di Mons. Vincenzo D’Addario


Il prossimo 20 novembre 2015 alle ore 11.30 nella Chiesa Cattedrale di Manfredonia si celebrerà una santa Messa in suffragio di Mons. Vincenzo D’Aaddario, arcivescovo di Manfredonia-Vieste dal 1990 al 2002, presieduta da Mons. Michele CASTORO – Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo e concelebrata dal Clero Diocesano e Religioso convenuto per il mensile Ritiro Spirituale. 
La Comunità Diocesana tutta è invitata.

BREVE BIOGRAFIA
(Pianella, 8 maggio 1942 – Teramo, 1º dicembre 2005)
Compie gli studi prima nel seminario diocesano, di Penne, per le scuole medie inferiori, poi nel seminario regionale, di Chieti, per gli studi liceali e teologici. In seminario si distingue per comportamento esemplare, sia nel campo della disciplina e degli studi, sia in quello formativo e spirituale.
Riceve l’ordinazione sacerdotale, dalle mani del vescovo Antonio Iannucci, il 26 giugno 1966, nella chiesa parrocchiale di Pianella, e trasmette il programma augurale di Sant’Agostino: “Solo l’amore è il segreto per pascere il gregge di Dio”.
Svolge il suo ministero sacerdotale e pastorale sempre a fianco del Iannucci, prima come suo segretario particolare, per 12 anni, poi come pro-vicario generale, per 8 anni, e quindi vicario generale, dell’arcidiocesi di Pescara-Penne, per circa 18 mesi. Insegnante, di Religione, al Liceo classico, di Pescara, per oltre 15 anni; assistente diocesano di Azione Cattolica; aiutante nella parrocchia dello Spirito Santo; mentre dal 1983 al 1985 è primo parroco, della nascente parrocchia, di San Marco Evangelista e parroco ad interim del Sacro Cuore, a Pescara.
Con bolla pontificia, di Giovanni Paolo II, dell’11 aprile 1986, è eletto coadiutore, di Mario Di Lieto, vescovo di Ascoli Satriano e Cerignola, allora infermo. È ordinato vescovo il 5 giugno 1986 a Pescara nella chiesa dello Spirito Santo dal cardinale Bernardin Gantin e dagli arcivescovi Antonio Iannucci e Antonio Valentini, alla presenza, inoltre, di 20 vescovi e di circa 150 sacerdoti abruzzesi e pugliesi.
Il 16 aprile 1987 diviene, per coadiutoria, vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano.
Il 2 giugno 1990 viene promosso arcivescovo di Manfredonia-Vieste.
Il 2 maggio 1999, sul sagrato di San Pietro, chiede a Giovanni Paolo II di procedere alla beatificazione di Padre Pio da Pietrelcina.
Il 24 agosto 2002 è nominato arcivescovo, titolo personale, di Teramo-Atri.
Il 30 novembre 2005 accompagna all’incontro con papa Benedetto XVI più di 300 giovani della diocesi di Teramo-Atri che nell’agosto 2005 hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia, in Germania. Dopo la consueta udienza in piazza San Pietro celebra la sua ultima messa nell’altare centrale della basilica di San Pietro e nel pomeriggio si intrattiene nella piazza animata dai giovani al seguito.
Rientrato a Teramo in serata, spira alle ore 8 del mattino del giorno successivo, il 1º dicembre 2005, mentre recita le lodi mattutine, nella cappella dell’episcopio aprutino.

sabato 14 novembre 2015

33° Domenica del Tempo Ordinario

Ogni giorno un mondo nasce e uno muore



«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte». 


La prima verità è che l'universo è fragile nella sua grande bellezza: in quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo... Eppure non è questa l'ultima verità: se ogni giorno c'è un mondo che muore, ogni giorno c'è anche un mondo che nasce. «E si va di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi» (Gregorio di Nissa). Quante volte si è spento il sole, quante volte le stelle sono cadute a grappoli dal nostro cielo, lasciandoci vuoti, poveri, senza sogni: una disgrazia, una malattia, la morte di una persona cara, una sconfitta nell'amore, un tradimento. Fu necessario ripartire, un'infinita pazienza di ricominciare. Guardare oltre l'inverno, credere nell'estate che inizia con il quasi niente, una gemma su un ramo, la prima fogliolina di fico, «nella speranza che viene a noi vestita di stracci perché le confezioniamo un abito da festa» (Paul Ricoeur). 

Gesù educa alla speranza, a intuire dentro la fragilità della storia come le doglie di un parto, come un uscire dalla notte alla luce. Quanto morir perché la vita nasca (Clemente Rebora). Ben vengano allora certe scosse di primavera a smantellare ciò che merita di essere cancellato, anche nella istituzione ecclesiastica. 

E si ricostruirà, facendo leva su due punti di forza. Il primo: quando vedrete accadere queste cose sappiate che Egli è vicino, il Signore è alle porte. La nostra forza è un Dio vicino, «la sua strada passa ancora sul mare, anche se non ne vediamo le tracce» (Salmo 77,20). La nostra nave non è in ansia per la rotta, perché sente su di sé il suo Vento di vita. 

Il secondo punto di forza è la nostra stessa fragilità. Per la sua fragilità l'uomo, tanto fragile da aver sempre bisogno degli altri, cerca appoggi e legami. Ed è appoggiando una fragilità sull'altra che sosteniamo il mondo. Dio è dentro la nostra fragile ricerca di legami, viene attraverso le persone che amiamo. «Ogni carne è intrisa d'anima e umida di Dio» (Bastaire). 

Il Vangelo parla di stelle che cadono. Ma il profeta Daniele alza lo sguardo: i saggi risplenderanno, i giusti saranno come stelle per sempre, il cielo dell'umanità non sarà mai vuoto e nero, uomini giusti e santi si accendono su tutta la terra, salgono nella casa delle luci, illuminano i passi di molti. Sono uomini e donne assetati di giustizia, di pace, di bellezza. E sono molti, sono come stelle nel cielo. E tutti insieme foglioline di primavera, del futuro buono che viene.

mercoledì 11 novembre 2015


Domenica prossima, 15 novembre, alle ore 17.00, comincia il cammino annuale di catechesi e formazione delle famiglie della parrocchia.
Sono invitati a partecipare tutte le coppie, in particolar modo i genitori dei bambini e dei ragazzi che frequentano il catechismo, e tutti coloro che desiderano approfondire il cammino di fede proprio dei laici cristiani.

Questi il calendario degli appuntamenti:
DOMENICA 15 NOVEMBRE
DOMENICA 13 DICEMBRE
DOMENICA 10 GENNAIO
DOMENICA 14 FEBBRAIO
DOMENICA 13 MARZO
DOMENICA 10 APRILE

martedì 10 novembre 2015

Il discorso di Papa Francesco alla Chiesa italiana riunita a Firenze

"Beati, umili, disinteressati"

Il primo sentimento è l’umiltà. «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso» (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filippesi. Più avanti l’Apostolo parla del fatto che Gesù non considera un «privilegio» l’essere come Dio (Fil 2,6). Qui c’è un messaggio preciso. L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre. 

Un altro sentimento di Gesù che dà forma all’umanesimo cristiano è il disinteresse. «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4), chiede ancora san Paolo. Dunque, più che il disinteresse, dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49). Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù. Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende sé stessa, che arriva ad essere feconda. 

Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine. Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo noi esseri umani possiamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina. Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile. 
Le beatitudini che leggiamo nel Vangelo iniziano con una benedizione e terminano con una promessa di consolazione. Ci introducono lungo un sentiero di grandezza possibile, quello dello spirito, e quando lo spirito è pronto tutto il resto viene da sé. Certo, se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo, sembreranno sciocchezze perché non ci portano al “successo”. Per essere «beati», per gustare la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, è necessario avere il cuore aperto. 
La beatitudine è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo, regalandoci una pace incomparabile: «Gustate e vedete com’è buono il Signore» (Sal 34,9)! 

Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. 

Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente. 

Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium, 49).

sabato 7 novembre 2015


"Ero andato mendicando d'uscio in uscio 
lungo il sentiero del villaggio, 
quando il tuo cocchio dorato 
apparve in lontananza come un magnifico sogno 
e mi chiesi chi fosse questo Re di tutti i re ! 

Le mie speranze crebbero, 
e pensai che i brutti giorni fossero passati, 
e rimasi in attesa di doni non richiesti, 
di ricchezze profuse da ogni parte. 

Il tuo cocchio si fermò vicino a me. 
Mi guardasti e scendesti sorridendo. 
Sentivo che alfine era arrivata la fortuna della mia vita. 

Poi, all'improvviso, mi stendesti la mano 
chiedendo: " Che cos'hai da darmi ? " 
Quale gesto regale fu il tuo! 
Stendere la mano a un mendicante per mendicare ! 

Rimasi indeciso e confuso. 
Poi estrassi dalla mia bisaccia 
il più piccolo chicco di grano e te lo offersi. 

Ma quale non fu la mia sorpresa quando, finito il giorno, 
vuotai la mia bisaccia per terra 
e trovai un granellino d'oro nel mio povero mucchio ! 

Piansi amaramente 
e desiderai di aver avuto il coraggio 
di donarti tutto quello che avevo".

(Tagore)
32° Domenica del Tempo Ordinario - anno B

TUTTA LA SUA VITA


In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Gesù, durante tutta la sua predicazione, ha sempre mostrato una predilezione par­ticolare per le donne sole. Ora affida al gesto nascosto di una donna, che vorrebbe so­lo scomparire dietro una delle colonne del tem­pio, il compito di trasmettere il suo messaggio. 
La prima scena è affollata di personaggi che hanno lo spettacolo nel sangue: passeggiano in lunghe vesti, amano i primi posti, essere riveriti per strada... Questa riduzione della vita a spet­tacolo la conosciamo anche noi, è una realtà patita da tanti con disagio, da molti inseguita con accanimento. 
Il Vangelo vi contrappone la seconda scena. Se­duto davanti al tesoro del tempio Gesù osserva­va come la folla vi gettava monete. Notiamo il particolare: osservava «come», non «quanto» la gente offriva. I ricchi gettavano molte monete, Ma, venuta u­na vedova povera, vi gettò due monetine. Gesù se n'è accorto, unico; chiama a sé i discepoli e of­fre la sua lettura spiazzante e liberante: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Gesù non bada alla quantità di denaro. Conta quanto peso di vita, quanto cuore, quanto di la­crime e di speranze è dentro quei due spiccioli. Due spiccioli, un niente ma pieno di cuore. Il motivo vero e ultimo per cui Gesù esalta il gesto della donna è nelle parole «Tutti hanno gettato parte del superfluo, lei ha gettato tutto quello che aveva, tutto ciò che aveva per vive­re»: la totalità del dono. Anche Lui darà tutto, tutta la sua vita. 
Come la vedova povera, quelli che sorreggono il mondo sono gli uomini e le donne di cui i gior­nali non si occuperanno mai, quelli dalla vita nascosta, fatta solo di fedeltà, di generosità, di onestà, di giornate a volte cariche di immensa fatica. Loro sono quelli che danno di più. I primi posti di Dio appartengono a quelli che, in ognuna delle nostre case, danno ciò che fa vivere, regalano vita quotidianamente, con mille gesti non visti da nessuno, gesti di cura, di accudimento, di attenzione, rivolti ai geni­tori o ai figli o a chi busserà domani. 
La san­tità: piccoli gesti pieni di cuore. Non è mai ir­risorio, mai insignificante un gesto di bontà cavato fuori dalla nostra povertà. Questa capacità di dare, anche quando pensi di non possedere nulla, ha in sé qualcosa di divino. Tutto ciò che riusciamo a fare con tutto il cuo­re ci avvicina all'assoluto di Dio. Quanto più Vangelo ci sarebbe se ogni discepo­lo, se l'intera Chiesa di Cristo si riconoscesse non da primi posti, prestigio e fama, ma dalla gene­rosità senza misura e senza calcolo, dalla auda­cia nel dare. Allora, in questa felice follia, il Van­gelo tornerebbe a trasmettere il suo senso di gioia, il suo respiro di liberazione.


p. Ermes Ronchi

venerdì 6 novembre 2015

"Servire, servirsi"
Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia oggi su due figure di servi, presentate dalla Liturgia odierna. Innanzitutto, la figura di Paolo che “si è donato tutto al servizio, sempre” per finire a Roma “tradito da alcuni dei suoi” finendo poi “condannato”. Da dove veniva la grandezza dell’Apostolo delle Genti, si chiede il Pontefice? Da Gesù Cristo e “lui si vantava di servire, di essere eletto, di avere la forza dello Spirito Santo”.
Il cristiano è chiamato a servire, non a servirsi degli altri
Era il servo che serviva, ha ribadito, “amministrava, gettando le basi, cioè annunciando Gesù Cristo” e “mai si fermava per avere il vantaggio di un posto, di una autorità, di essere servito. Lui era ministro, servo per servire, non per servirsi”:
“Io vi dico quanta gioia ho, io, che mi commuovo, quando in questa Messa vengono alcuni preti e mi salutano: ‘Oh padre, sono venuto qui a trovare i miei, perché da 40 anni sono missionario in Amazzonia’. O una suora che dice: ‘No, io lavoro da 30 anni in ospedale in Africa’. O quando trovo la suorina che da 30, 40 anni è nel reparto dell’ospedale con i disabili, sempre sorridente. Questo si chiama servire, questa è la gioia della Chiesa: andare oltre, sempre; andare oltre e dare la vita. Questo è quello che ha fatto Paolo: servire”.
No agli arrampicatori attaccati ai soldi nella Chiesa
Nel Vangelo, ha ripreso, il Signore ci fa vedere l’immagine di un altro servo, “che invece di servire gli altri si serve degli altri”. E, ha sottolineato, “abbiamo letto cosa ha fatto questo servo, con quanta scaltrezza si è mosso, per rimanere al suo posto”.
“Anche nella Chiesa ci sono questi, che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa: gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi. E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così. E’ triste dirlo, no? La radicalità del Vangelo, della chiamata di Gesù Cristo: servire, essere al servizio di, non fermarsi, andare oltre sempre, dimenticandosi di se stessi. E la comodità dello status: io ho raggiunto uno status e vivo comodamente senza onestà, come quei farisei dei quali parla Gesù che passeggiavano nelle piazze, facendosi vedere dagli altri”.
Chiesa che non serve diventa Chiesa affarista
Due immagini, ha ripreso Francesco: “Due immagini di cristiani, due immagini di preti, due immagini di suore. Due immagini”. E Gesù, ha ribadito, “ci fa vedere questo modello in Paolo, questa Chiesa che mai è ferma", che "sempre va avanti e ci fa vedere che quella è la strada”:
“Invece quando la Chiesa è tiepida, chiusa in se stessa, anche affarista tante volte, questo non si può dire, che sia una Chiesa che ministra, che sia al servizio, bensì che si serve degli altri. Che il Signore ci dia la grazia che ha dato a Paolo, quel punto d‘onore di andare sempre avanti, sempre, rinunciando alle proprie comodità tante volte, e ci salvi dalle tentazioni, da queste tentazioni che in fondo sono tentazioni di una doppia vita: mi faccio vedere come ministro, cioè come quello che serve, ma in fondo mi servo degli altri”. 

martedì 3 novembre 2015

"Che ci basti Lui"

«Dio ha tanto amato il mondo». Noi siamo portati ad amare ciò di cui sentiamo il bisogno e che desideriamo. Dio, invece, ama fino alla fine il mondo, cioè noi, così come siamo. Anche in questa Eucaristia viene a servirci, a donarci la vita che salva dalla morte e riempie di speranza... domandiamo per noi quello a cui ci esorta l’apostolo Paolo: di «rivolgere il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,2); all'amore di Dio e del prossimo, più che ai nostri bisogni. Che non abbiamo a inquietarci per quello che ci manca quaggiù, ma per il tesoro di lassù; non per quello che ci serve, ma per ciò che veramente serve. Che sia sufficiente alla nostra vita la Pasqua del Signore, per essere liberi dagli affanni delle cose effimere, che passano e svaniscono nel nulla. Che ci basti Lui, in cui ci sono vita, salvezza, risurrezione e gioia. Allora saremo servi secondo il suo cuore: non funzionari che prestano servizio, ma figli amati che donano la vita per il mondo.

(Omelia del Papa alla Messa in suffragio dei Cardinali e Vescovi defunti)

QUARESIMA IN FAMIGLIA/4 E' pronto il quarto  foglietto per pregare nelle famiglie durante questo tempo di grazia. Vi troverete : le ...