domenica 24 gennaio 2016

3° domenica del Tempo ordinario

Il Vangelo: gioia e libertà per i poveri

Dal Vangelo secondo Luca
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore».

Gesù viene a Nazareth, il luogo della sua vita quotidiana, dove ha vissuto trent’anni, cioè tutta la sua esistenza: è quello il luogo dove si realizza il Vangelo, il luogo della vita quotidiana. Entra nella sinagoga con l’emozione di chi è tornato dove aveva imparato a conoscere la Parola, dove aveva imparato a leggere, quella che era stata il centro della sua vita, dove aveva ascoltato per trent’anni la Parola di Dio. Lì entra nel giorno di sabato, cioè il giorno della festa, il giorno in cui si celebra il compimento della creazione, il giorno dove ognuno desidera arrivare, a una compiutezza di vita, a una vita piena. Il sabato è come il gusto in anticipo della festa, della gioia, del riposo. Di sabato non si lavora. Si mangia, si beve, si fa festa e si ascolta la Parola. L’uomo è fatto per questo. 

Nella sinagoga il brano inizia con Gesù che si leva, apre il libro e termina con Gesù che chiude il libro e si siede e in mezzo c’è il brano che viene letto. E la parola "si levò" è la stessa della resurrezione. Il Gesù che si leva è come il Gesù risorto, il Gesù che legge è come il Gesù risorto che interpreta la scrittura, cioè fa riconoscere che in Lui si compie tutta la Parola.
E cosa fa? Annuncia il Vangelo ai poveri. Il "povero" è definito come uno che quasi non ha volto, perché vive di dono, di dipendenza, quindi quelli che in fondo non hanno da vivere. Sostanzialmente nelle cose fondamentali siamo tutti poveri, perché la vita non ce la siamo dati da soli, né l’intelligenza, né l’amore, né la cura che gli altri hanno di noi. Tutte le cose che ci fanno vivere ci vengono date gratuitamente come dono. Se non sono dono, costano troppo care e non arrivano. 

Ai poveri annuncia "la buona notizia". E la buona notizia prima qual è? Mandare gli schiavi in libertà. Proclamare la libertà degli schiavi. Conosciamo tante schiavitù. Conosciamo le schiavitù interiori, che sono le più dure a perire, e quelle esteriori degli altri che provocano le nostre schiavitù interiori. Serve a liberarci delle nostre schiavitù dentro e fuori. Verso la libertà. Dove la libertà non è ciò che intendiamo noi oggi – fare quel che mi pare e piace, questo si chiama libertinismo o disonestà o egoismo o produrre morte –, ma liberazione dalla schiavitù. La Bibbia più che di libertà parla di liberazione e in greco viene utilizzata una parola che ha il significato di "mandar via", ossia quello che è schiavo viene finalmente licenziato dalla schiavitù, ne esce, è in uscita. Me ne vado via dalla schiavitù. 

La seconda cosa è la vista ai ciechi. "Siamo forse ciechi pure noi?" è la domanda dei farisei a Gesù. E Gesù risponderà: "se foste ciechi poco male, tanto i ciechi li guarisco; ma siccome dite di vedere il vostro peccato rimane". E il peccato è la falsa lettura della realtà che facciamo, una lettura delirante, che è il vero male. Il Vangelo ci vuole aprire gli occhi: questa è l’illuminazione. Non è qualcosa di strano. E aprire gli occhi sulla realtà è uscire dai deliri per vedere la verità. La verità è che Dio è Padre e noi siamo figli e quindi fratelli e dobbiamo vivere tutto questo. Questa è la condizione per abitare la terra. 

(p. Silvano Fausti, s.j.)

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